C’è una persona che frequenta Casa della Speranza, opera segno di Caritas cremonese che accoglie persone affette da Aids, da cui ci siamo fatti raccontare la sua esperienza, anche in occasione della Giornata Mondiale per la lotta all’AIDS. Si chiama Don Vilmo Realini e frequenta la Casa da tre mesi. Alla richiesta del Direttore della nostra Caritas, Don Pier Codazzi, di far sentire la presenza della Chiesa Cattolica agli ospiti ha subito risposto positivamente. Infatti – racconta Don Vilmo – “ho visto la proposta di Don Pier come un dono”.
Il suo ruolo è appunto quello di far sperimentare la presenza della Comunità Cristiana in mezzo a loro. Così, una volta alla settimana, si reca a Casa Speranza e, mentre gli ospiti svolgono le loro attività quotidiane, dà loro anche la possibilità di parlare e confrontarsi con lui.
Un’altra importante occasione di condivisione è la celebrazione della messa. Don Vilmo ha avuto la possibilità di celebrare l’Eucarestia con gli ospiti e gli operatori e di concelebrare la messa dedicata alla Giornata Mondiale contro l’HIV il 30 novembre, presieduta con Mons. Vescovo Antonio Napolioni e Don Pier Codazzi. “Oltre all’importanza del confronto diretto con loro, il momento che più mi ha fatto piacere condividere è l’Eucarestia; sia perché si tratta di un momento spirituale elevato di comunione, sia perché è un buon esempio del vivere la prossimità cristiana”, racconta Don Vilmo.
In questo modo, per lui, diventa un’esperienza completa e arricchente anche dal punto di vista umano. “C’è stata fin dall’inizio un’accoglienza positiva del personale che è sempre disponibile. Per me diventa un piacere conoscere e toccare con mano la passione con la quale gli operatori e anche i volontari si dedicano agli altri e ai loro bisogni”, aggiunge.
Ma quali sono le difficoltà che un prete incontra entrando in una comunità di persone affette da AIDS? La risposta arriva da Don Vilmo: “Il mio più grande problema all’inizio era ricordare i loro nomi, perché chiamare per nome dà dignità alla persona. E persone fragili, come i ragazzi presenti a Casa Speranza, hanno bisogno di riscoprire la loro.”