Nel piccolo orto davanti alla casa di Giusy e Roberto, a Caravaggio, crescono i cetrioli di Mariupol. Elena li raccoglie e sorride: “Noi ucraini ne mangiamo così tanti”. 

Elena è ucraina, originaria della città sud-orientale occupata dall’esercito russo. Da 17 anni è in Italia e fa l’impiegata. Il 24 febbraio, quando è iniziata la guerra, ha preso il telefono e ha cominciato a sentire parenti e amici rimasti in patria. Voleva sapere se a qualcuno serviva un aiuto. Ha trovato Elena, sua omonima, ex compagna di classe e vicina di casa a Mariupol, poi trasferitasi a Kiev. Quando è scoppiato il conflitto, con il marito e le figlie si è spostata in montagna, ma poi ha deciso di venire in Italia. Elena per le donne della famiglia ha trovato una sistemazione.

Dal 3 marzo, infatti, vivono a Caravaggio, nella casa del papà di Giusy. “Elena, che conosciamo da anni – spiega Giusy – ci ha chiesto un aiuto per i suoi amici. Noi avevamo la casa di mio padre vuota perché lui è mancato per il covid e l’abbiamo messa a disposizione”.

In Ucraina, prima di scappare dalla guerra, mamma Elena lavorava in banca. Fino a maggio ha lavorato a distanza, ma poi non è più stato possibile. Dasha, la figlia più grande, si è appena ‘diplomata’ in Dad alla scuola ucraina con il massimo dei voti. Sa quattro lingue e a Caravaggio ha frequentato la quarta del liceo Galilei. Yaroslava, la più piccola delle figlie, di anni ne ha 9 e ha frequentato la scuola ucraina a distanza e la quarta elementare a Caravaggio. E’ riuscita anche a proseguire le lezioni di piano on-line, con una tastiera che Giusy e Roberto sono riusciti a procurare. Il marito è rimasto in Ucraina e ha creato una Fondazione per raccogliere aiuti a favore della popolazione. 


“Com’è la situazione là?
 Brutta – raccontano le donne ucraine – I nostri genitori sono rimasti a Mairupol, la loro casa è distrutta. Mancano l’acqua e la corrente e la situazione sanitaria è grave, ci sono cadaveri ovunque e l’ospedale è distrutto. La gente che prova ad andare al mare per lavarsi rischia di saltare sulle mine. In questa situazione, facciamo anche fatica a comunicare: riusciamo a sentire i nostri genitori una volta ogni tre settimane per sapere almeno se sono vivi”. 

Giusy e Roberto sono in contatto con la nostra Caritas e in particolare con Roberto. “Ci chiama spesso per chiederci se abbiamo bisogno – dice Giusy – Per fortuna Elena e le sue figlie sono arrivate con tutto, ma conosciamo altri nuclei che hanno avuto un supporto importante. C’è stata una bella mobilitazione per l’accoglienza”. Nella zona di Caravaggio i profughi ucraini intercettati dalla rete Caritas sono una cinquantina, tra cui ci sono minori (molti dei quali in queste settimane estive stanno frequentando i grest parrocchiali). L’aiuto, a chi ne ha fatto richiesta, consiste nella donazione di generi alimentari e di vestiti, oltre che nell’assistenza e nell’affiancamento per le procedure burocratiche che spesso, purtroppo, procedono a rilento.


Nella situazione attuale pensare al futuro sembra quasi un paradosso, ma mamma Elena e le sue figlie hanno progetti molto chiari. “Vogliamo tornare in Ucraina – dicono – Speriamo di poterlo fare quest’estate. Stiamo aspettando che mettano il sistema antimissile a Kiev”. Poi, l’appello corale: “Il tempo passa, la guerra continua. Il rischio è che la gente si dimentichi, invece bisogna continuare a parlarne perché molte persone muoiono e soffrono e i bisogni rimangono”. 

Il futuro e la speranza sono nella parole di suor Giulia, la nostra referente Caritas per i profughi ucraini della zona 1: “Ci sono famiglie della nostra zona che avevano dato disponibilità ad accogliere, ma che non l’hanno potuto fare perché non c’è stato bisogno. Ecco, queste famiglie hanno riconfermato la loro disponibilità, nonostante sia passato del tempo. Mi colpisce sempre questa mobilitazione. è un bellissimo segno!”. Ma il futuro e la speranza sono anche negli occhi di Dasha che, determinata, dice: “Ad agosto ho gli esami di ammissione per l’università. Voglio andare in Germania a studiare cinematografia”. 


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