Caritas Italiana ha stilato il Rapporto Povertà 2022. In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà, Caritas Italiana ha presentato, lunedì 17 ottobre il suo 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole”. Caritas offre aiuto, assistenza e servizi. Ma soprattutto la Caritas costruisce relazioni capaci di speranza e fiducia.
Puoi scaricare e consultare il Rapporto Povertà 2022 sul sito di Caritas Italiana:
Ecco l’intervento di Mons. Carlo Roberto Maria REDAELLI, presidente di Caritas Italiana.
Quasi 2.800 Centri di Ascolto Caritas solo nel 2021 hanno effettuato oltre 1,5 milioni di interventi, per
poco meno di 15 milioni di euro, con un aumento del 7,7% delle persone che hanno chiesto aiuto.
Anche nel 2022 i dati raccolti fino ad oggi confermano questa tendenza.
Non si tratta sempre di nuovi poveri ma anche persone che oscillano tra il dentro e fuori dallo stato
di bisogno. Tra questi coloro che, pur lavorando, sono poveri (working poor) oggi sono pari al 13%
degli occupati. Il 23,6% di quanti si rivolgono ai centri di ascolto sono lavoratori poveri. Sono in
aumento gli stranieri rispetto agli italiani: questo è comprensibile perché in una situazione di
peggioramento economico i primi a entrare in difficoltà sono coloro che, come gli stranieri, hanno
spesso un lavoro precario (spesso al di sotto della preparazione professionale).
È necessario dunque impegnarsi sempre di più, in una logica condivisa e di rete, per restituire dignità
al lavoro. Soltanto così sarà possibile far uscire tantissime famiglie e tantissimi giovani dalla zona
d’ombra in cui purtroppo sono finiti in questi ultimi anni e spezzare anche quella povertà che per
troppe persone e intere generazioni sembra destino inevitabile. Sei assistiti Caritas su 10 sono infatti
poveri “intergenerazionali”, uno su tre tra i nati da genitori senza alcun titolo si è fermato alla sola
licenza elementare. Nel nostro Paese occorrono ben 5 generazioni perché una persona che nasce in
una famiglia molto povera possa raggiungere un livello di reddito medio (la media OCSE è 4,5
generazioni, ma al nord Europa ne bastano 2). Un ultimo dato davvero preoccupante è che in Italia ci
sono oltre 3 milioni di NEET – che non studiano, né lavorano, né ricevono una formazione (nella fascia
15-34 anni), pari al 25,1% del totale.
Al di là dei dati, delle percentuali, degli aiuti materiali, emerge l’importanza dell’ascolto, dell’incontro,
del camminare insieme e soprattutto del costruire insieme nuove opportunità.
Proprio in questa prospettiva mi sia consentito qui di mettere in rilievo due aspetti che riteniamo
fondamentali e che auspichiamo lo siano anche per il nuovo Governo che si sta formando dopo le
recenti elezioni politiche.
Il primo – lo sottolinea papa Francesco nel Messaggio per la VI Giornata Mondiale dei Poveri del
prossimo 13 novembre – è che «davanti ai poveri non si fa retorica, ma ci si rimbocca le maniche».
Questo vale a ogni livello. Nelle relazioni quotidiane, ma anche nelle politiche di lotta alla povertà che
devono concretamente ed effettivamente raggiungere tutti coloro che sono in povertà non lasciando
nessuno scoperto, e dando sostegno per tutto il tempo necessario a migliorarne le condizioni di vita
con attenzione al concreto contesto di difficoltà in cui ci troviamo (pensiamo a questi ultimi mesi del
2022 dove la povertà legata alla crisi “energetica” – il costo delle bollette – sta preoccupando
moltissimo le nostre Caritas). Un processo non privo di ostacoli che va monitorato costantemente.
Non spetta a Caritas, né alla Chiesa dare precise indicazioni a chi ha il compito e la grave responsabilità
di legiferare e di amministrare per il bene comune, cioè di tutti, anzitutto dei poveri. In ogni caso,
anche rivedendo gli strumenti finora in essere e tenendo conto del quadro pesante dei prossimi mesi
e delle risorse limitate, occorre trovare modalità per “tenere a galla” – se mi permettete una semplice immagine – chi rischia di affondare e poi anche per aiutarlo a imparare a nuotare e comunque a
raggiungere una sponda sicura.
Il secondo aspetto che vorrei ricordare – prendo sempre a prestito le parole di papa Francesco – è
che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte alle
emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro»
(Laudato si’ n. 128).
Accanto a politiche di contrasto alla povertà comunque accompagnate con interventi di inclusione
sociale (istruzione, genitorialità, sostegno psicologico, cura e salute, ecc.), servono misure contro la
disoccupazione, di inclusione lavorativa.
Sempre nel Messaggio per la Giornata Mondiale dei Poveri il Papa ribadisce che è urgente trovare
nuove strade che possano andare oltre l’impostazione di quelle politiche sociali «concepite come una
politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che
unisca i popoli» (Enc. Fratelli tutti, 169). Bisogna tendere invece ad assumere l’atteggiamento
dell’Apostolo che poteva scrivere ai Corinzi: «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli
altri, ma che vi sia uguaglianza» (2 Cor 8,13).
Allora però bisogna ridiscutere i fini, i metodi, gli strumenti e i tempi della conduzione dell’economia
perché essa sia “al servizio degli uomini”. Se si opta per questa scelta bisogna sapere che essa non è
indolore. Comporta infatti l’assunzione, sul piano teorico, del carattere strumentale dell’economia:
se è finalizzata alla pienezza della dignità umana deve sottostare a regole che non sono soltanto quelle
del mercato; e l’armonizzazione non è solo lo stare assieme di entità e poteri autonomi ma anche il
loro concorrere ad un fine condiviso e garantito politicamente. Così la politica rientra di pieno diritto
come garante dei “fattori umani” all’interno di uno sviluppo integrale umanamente orientato.
Ricordandoci sempre quanto già San Paolo VI ha sottolineato nella Populorum Progressio: «Lo
sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere
integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e tutto l’uomo» (n. 14).
Prendere coscienza della portata della sfida che è davanti a ciascuno di noi e a “noi” come comunità
– e comunità cristiana in modo specifico – è la condizione necessaria per non rimanere sopraffatti
dalla logica della inevitabilità dei dati e delle tendenze, cioè della ineluttabilità dei fatti compiuti. Una
logica molto lontana dalla speranza che caratterizza i cristiani. Una speranza fondata sul Vangelo e
che proprio per questo diventa concreta carità.
Permettetemi di concludere ricordando quanto scriveva san Paolo riandando a un momento di
difficoltà nella prima Chiesa, dove diversi modi di intendere e di sentire erano stati superati in quello
che è conosciuto come Concilio di Gerusalemme. Nella lettera ai Galati raccontava quell’episodio e
concludeva: «[Gli apostoli] ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono
preoccupato di fare» (Galati 2, 10). “Ricordarci dei poveri”: è un invito che vale per ciascuno di noi e
per ogni istituzione civile e religiosa. Mi auguro che tutti possiamo con san Paolo dire: «È quello che
ci siamo preoccupati di fare».