Si sono concluse le esperienze di volontariato del progetto Cose belle, portato avanti dalla nostra Caritas in sinergia con la Diocesi di Cremona e associazioni e realtà del territorio e dedicato a ragazzi, giovani, famiglie e adulti desiderosi di fare una “vacanza di servizio” in Italia e all’estero. Ciò che i protagonisti hanno lasciato e portato a casa è stato davvero significativo. Abbiamo chiesto a loro di raccontarcelo. Quindi, partiamo per questo viaggio tra le testimonianze dei nostri volontari che hanno vissuto esperienze sul territorio nazionale: a Roma e a Trieste.

Il progetto Cose belle è realizzato anche attraverso il contributo dell’8×1000.

Ragazzi dal casalasco alla mensa di Roma: “Abbiamo capito l’importanza del volontariato”

Yasmine, Linda, Silvia e Hajiba. Sono quattro dei giovani tra i 18 e i 23 anni che a luglio, accompagnati da adulti volontari, hanno prestato servizio alla mensa serale e all’ostello di Termini, strutture gestite da Caritas Roma. Per tutte loro, era la prima esperienza di volontariato. “Non avrei mai pensato di fare volontariato proprio in Italia, perché non credevo ci fosse la necessità. Quando mi è stato proposto, ho colto la palla al balzo. Aiutare gli altri è uno dei miei obiettivi di vita. L’esperienza è stata molto bella: abbiamo conciliato le visite della città al volontariato”, racconta Yasmine, 19 anni di Casalmaggiore, neodiplomata al Liceo Scientifico. “Ho compreso come il volontariato sia importante nella società in cui viviamo. Può capitare a tutti di prendere una decisione sbagliata e trovarsi in condizioni difficili. La società in cui viviamo è piena di rischi e difficoltà, aiutarsi l’un l’altro è la base per poter sopravvivere in questo “mondo”: invece di pensare “a me non succederà mai”, provare a rimboccarsi le maniche e stare accanto a chi sta attraversando un momento di crisi forte è ciò che serve”, aggiunge Silvia, 19 anni di Bozzolo, fresca di maturità al Liceo delle Scienze Applicate.

L’esperienza a Roma è stata l’occasione per conoscere nuove persone, le loro storie e aiutare chi sta attraversando un momento di fragilità economica, sociale e relazionale. “Servire il cibo e lavorare per le persone emarginate dalla società mi ha dato grande soddisfazione. Ho capito l’importanza dell’ascolto e di un semplice sorriso”, racconta Linda, 23 anni al terzo anno di Infermieristica. “Una sera ho notato un signore molto triste, così, ho deciso di parlare con lui. Era indiano. Mi ha detto che gli ha fatto piacere poter parlare in hindi con qualcuno, perché qui non aveva amici”, aggiunge la ragazza. “Una persona che mi ha colpita è Albino, sempre solare, tranne una sera. Durante la giornata aveva appuntamento con un suo amico che gli aveva promesso 12 euro per permettergli di aprire la PostePay, ma non si era presentato. Questo episodio mi ha fatto riflettere: per qualcuno 12 euro possono sembrare pochi, mentre per altri sono fondamentali”, racconta invece Silvia.

Anche il gruppo è importante per vivere l’esperienza a pieno. “Con gli altri ragazzi e ragazze mi sono trovata molto bene e sono contenta di aver stretto amicizia con qualcuno proprio durante quest’avventura di volontariato. Ciò che mi ha colpito è che eravamo grati di poter dare quel piccolo aiuto che ci veniva chiesto e questo ci ha unito. Da piccola ho affrontato anch’io una situazione difficile, quindi, in parte, capivo alcune delle difficoltà descritte dalle persone che incontravo”, conclude Hajiba, 18 anni di Torricella del Pizzo, studentessa al Santa Chiara di Casalmaggiore.

Quest’esperienza mi ha permesso di capire che i bisognosi sono tanti, non sono solo coloro che chiedono l’elemosina, ma anche coloro che non riesco ad arrivare a fine mese. La mia intenzione è quella di continuare l’attività di volontariato, anche facendo azioni semplici come donare il sangue o diventare volontaria alla Padana Soccorso, luogo in cui attualmente sto intraprendendo il servizio civile“, la conclusione di Yasmine.

Famiglie a Trieste: “Esperienze che fanno bene anche alla crescita dei nostri figli”

Anna, Giorgio (detto Jad), Nina, Romeo, Martino e Emil. La famiglia Coppiardi, mamma, papà con quattro figli, storici volontari dell’Associazione Drum Bun di Cremona, sono partiti con altre tre famiglie alla volta di Trieste per un’esperienza di una settimana (a fine luglio) tra svago e servizio presso le strutture della Caritas Trieste. “Era arrivato il momento di ricominciare a dedicare un prezzo delle vacanze alla condivisione e al volontariato, questa volta con i figli più capaci di rendersi conto del mondo che li circonda”, il commento di mamma Anna sulla decisione di partire.

A Trieste hanno ridipinto e abbellito una stanza comune alla struttura di Accoglienza Teresiano e hanno proposto due laboratori espressivi, di giocoleria e di ‘teatro di carta’ kamishibai, per i bambini della Casa Stani. Con una visita d’eccezione durante le attività: quella del Vescovo don Enrico Trevisi che su Facebook ha commentato così: “Volontariato di famiglia. Che meraviglia. Partecipare per rigenerare la nostra vita cristiana e la nostra solidarietà è il programma che ci vogliamo dare. Grazie a queste famiglie per l’esempio e la sollecitazione”.

“Per la Caritas di Trieste – continua Anna ripesando all’esperienza – non è stato facile accogliere delle famiglie. Tutto sommato penso che le attività siano andate bene e che abbiamo suscitato domande e possibili spunti. Con il gruppo Drum Bun si è creata una bella sinergia. Siamo tornati con la consapevolezza di poter mettere in campo molto e con la convinzione che queste esperienze fanno bene anche alla crescita dei figli… dover mettere ogni tanto le proprie esigenze da parte, saper aspettare e condividere, non sempre è facile, ma è sicuramente arricchente”.

La prospettiva è quella di tornare. “Sicuramente – conclude Anna – occorrerà instaurare un dialogo più profondo con gli operatori. Lo spirito della Drum Bun è sempre stato quello di riuscire ed entrare in sinergia e collaborazione con chi è sul luogo. Non vogliamo essere quelli che vanno, fanno e poi vanno via”.

Giovani a Trieste: “Per contribuire concretamente al cambiamento. Alla fine, un arrivederci, non un addio”

Francesca ha 22 anni e si è appena laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche. Fa la volontaria all’Associazione Aida di Cremona ed ha già fatto esperienza in Calabria con l’Associazione Drum Bun. “Pur consapevole dei limiti del mio intervento, ho sentito il bisogno di contribuire a qualcosa che mi muove profondamente, ovvero contribuire concretamente al cambiamento, e che non posso, né voglio, ignorare”, dice parlando della sua scelta di partire per Trieste. Franco di anni ne ha 20 e studia Tecnologie Agrarie all’Università di Bologna. “Il gruppo – racconta – era composto da otto persone, otto vite e personalità molto diverse, ciononostante ci siamo trovati subito in sintonia, questo ha permesso anche un’ottima collaborazione durante le attività e ha fatto sì che lavorassimo molto bene anche in situazioni che chiedevano grande flessibilità e intesa”. I ragazzi, insieme ad altri sei giovani volontari, hanno prestato servizio in strutture della Caritas Trieste che accompagnano persone migranti e che accolgono adulti e famiglie in condizione di grave marginalità.

“Non eravamo semplici volontari, eravamo prima di tutto persone capaci di toccare e farsi toccare dalle esperienze, portando a casa una preziosa capacità di crescita e costruzione collettiva. L’incontro con Caritas Trieste ci ha offerto spunti di riflessione fondamentali per confrontarci sui metodi e approcci necessari, oltre a permetterci di integrarci e apprendere in contesti diversi. Abbiamo trovato accoglienza e fiducia, che ci hanno dato la libertà e l’entusiasmo per proporre il nostro stile”, il commento di Francesca.

“I momenti da ricordare – continua Franco – sono innumerevoli, ma quello che mi segnerà di più è stata una partita di calcio sotto la pioggia: le squadre erano composte da bengalesi, colombiani, iracheni,  nepalesi e italiani. Questa partita me la porterò per sempre: non importa il contesto in cui ci si trova, ci sarà sempre l’occasione di divertirsi e di ridere anche senza capirsi”.

“Lasciando le strade di Trieste – conclude Francesca – la parola che risuonava più spontaneamente era “arrivederci” e non “addio”. Desideriamo continuare a cercare quell’umanità e quell’anima, sia nei luoghi che abbiamo già conosciuto sia in altri nuovi,  quando ci troveremo negli occhi di qualcun altro uniti dal desiderio di incontro. Rimaniamo a servizio, pronti a fare la nostra parte”.