“Esecuzione penale esterna: opportunità da conoscere e da vivere”. Questo il titolo del convegno che si è tenuto nella mattinata di sabato 11 maggio al Centro pastorale diocesano di Cremona. Una mattina per approfondire il tema della giustizia, intrecciato con quello della cura. L’evento, organizzato dalla nostra Caritas Cremonese e moderato dal direttore don Pierluigi Codazzi, ha visto gli interventi di Ivo Lizzola, professore di Pedagogia sociale e Pedagogia della marginalità, del conflitto e della mediazione all’Università di Bergamo, Antonella Salvan, direttrice dell’Ufficio esecuzione penale esterna di Mantova e Cremona, e Roberto Piazzalunga, coordinatore Équipe Giustizia della Caritas diocesana di Bergamo.

“Un mattino di studio e di condivisione di un tema delicato – lo ha definito il direttore di Caritas Cremonese, organizzato per capire se, nelle situazioni in cui scende in campo la giustizia – anche la comunità ha una parte di responsabilità, senza nulla togliere a quella individuale, ma soprattutto se essa è coinvolta nel percorso di ripresa”.

Dopo un breve momento di preghiera, guidato da suor Mariagrazia Girola, ha preso la parola il professor Ivo Lizzola, secondo cui “la comunità non può togliersi di torno e delegare”. Di fronte a un’offesa essa ha una responsabilità seria, verso chi offende e verso chi viene offeso. Una denuncia alla presunzione di essere nel giusto, perché “la giustizia si fa tra uomini e donne non innocenti. I giusti e i puri operano una giustizia terribile nei confronti degli ingiusti e degli impuri”. E le ingiustizie sono situazioni che ogni persona affronta costantemente. A tal proposito ha sottolineato: “È solo una questione di posizionamento di fronte alle fragilità e alle ferite che uno porta dentro“. Fare giustizia significa dare un’altra possibilità. “Significa ri-tessere relazioni diverse in cui le persone giochino di sé qualcosa di diverso – ha aggiunto Lizzola. La giustizia ha bisogno di nuovi inizi”. “Altrimenti le pene rimangono individuali, macerano risentimento e delusione, operano corrosioni pericolose nelle persone e nelle relazioni”. E per garantire nuovi inizi e nuove vite, “teniamo attivi luoghi e momenti riflessivi”.

Tra gli interventi, anche i saluti di Rossella Padula, direttrice della Casa circondariale di Cremona, e Ornella Bellezza, Garante provinciale dei diritti delle persone private della libertà personale. La direttrice Padula ha voluto ringraziare il vescovo Napolioni per aver dedicato la Quaresima a questo tema [leggi il bilancio dell’iniziativa], don Codazzi, per la realizzazione dell’evento e per l’impegno di Caritas, insieme anche a tutti i presenti, che ha invitato a focalizzare l’attenzione e la cura sulle “persone che hanno ferito”, perché “sono persone ferite”. Ornella Bellezza ha invece spiegato il suo ruolo di garante, fatto di una continua mediazione finalizzata al conseguimento dei medesimi obiettivi: “Non è un mandato di vigilanza, ma di ascolto, mediazione e proposizione per il futuro”.

Antonella Salvan ha quindi parlato di “giustizia di comunità”, soffermandosi poi sulla storia e sui numeri dell’Uepe: “Siamo arrivati, negli ultimi 20 anni, a una visione triadica della giustizia, in cui i protagonisti sono il reo, la vittima e la comunità”. Una strada, quella dell’esecuzione penale esterna che vede attualmente in Italia, tra misure alternative, soluzioni sostitutive e messe alla prova, 82546 misure in corso. A Cremona-Mantova nel 2023, anno in cui è stato attivato l’Ufficio, esse coinvolgono il 48% dei detenuti.

Ma come si fa a fare giustizia di comunità? “Si devono costruire percorsi individuali che hanno bisogno di fare il salto – ha evidenziato Salvan –. Si parte da quella persona per fare poi un lavoro corale”. “Non si può più pensare alla giustizia come mero rispetto delle regole, seppur importanti”. Ha quindi concluso: “La distinzione tra bianco e nero, tra bene e male, è solo nella nostra testa. C’è del bene e del male in ogni persona”.

A chiudere l’iniziativa l’intervento di Roberto Piazzalunga, che, partendo dall’esperienza bergamasca, ha spiegato l’operato di Caritas. Un operato che non è fatto solo di aiuti e di carità, ma che si basa su tre cardini: la consapevolezza, la sensibilizzazione e la progettualità. E, per fare giustizia, così come per fare carità, “è fondamentale che tutte le parti siano corresponsabili”.

Al termine dell’evento, don Pier Codazzi ha presentato la sottoscrizione, da parte di Caritas Cremonese, di una convenzione che le permette di mettere concretamente in atto i percorsi di messa alla prova, “per essere davvero comunità risorsa”.

Dal sito della Diocesi di Cremona.